di Lorenzo Parolin[L1/98]
Work, buy, consume, die = lavora, acquista, consuma, muori.
Acqua calda, sapone profumato, schiuma da bagno, shampoo alla seta, balsamo rigenerante, sali odorosi e sottofondo musicale. Un momento di piacere e di rilassamento, poi, via il tappo della vasca e giù nel terreno qualche biglietto da mille di prodotti inquinanti. Il corpo sente che gli è stato sottratto qualcosa e si mette a produrre grasso per la pelle e per i capelli, ma il suo padrone, avvertendo nella nuova untuosità un senso di sporco, usa prodotti sgrassanti più energici. La pelle così lavata rimane troppo secca, allora: in testa una lozione, sul corpo una crema, sul viso un’altra, sotto le ascelle un deodorante e chi ha fantasia non si ferma qui. Il corpo non capisce più niente e dice: “Grazie per avermi liberato dallo sporco; ma perché hai asportato anche il velo di grasso che produco apposta per tenere sana la pelle e ne hai spalmato un tipo meno efficace? Perché hai speso soldi per toglierlo e soldi per metterlo quando io sono qui gratis al tuo servizio e so fare meglio di te?” Di questa assurdità io me ne sono accorto circa trent’anni fa ed ho risposto tenendo nel bagno appena un rasoio manuale per la barba, dentifricio e spazzolino per i denti e, solo per le rare emergenze, un flaconcino di shampoo e una saponetta. Una doccia di sola acqua calda tutti i giorni e nessuno si è mai accorto che la mia “toilette” è spartana. Per completare l’analisi c’è da dire che, in tanti anni, ho risparmiato qualche milione di lire (quindi ho potuto lavorare di meno), non ho perso tempo per fare acquisti, ho portato meno vuoti nell’immondezzaio ed ho inquinato il suolo meno degli altri. È vero che, se tutti facessero come me, molte aziende chiuderebbero e i loro operai perderebbero il posto, ma basterebbe ripartire il lavoro che rimane e tutto tornerebbe in equilibrio. Lavorando qualche ora in meno all'anno, la paga calerebbe un po', ma ciò non sarebbe un problema, perché, avendo rinunciato saggiamente ai cosiddetti “prodotti di bellezza”, servirebbe meno denaro per vivere. Con questo criterio si potrebbero selezionare ed eliminare miriadi di prodotti, di occupazioni e di passatempi inutili, superflui e dannosi; si potrebbe lavorare tutti la metà e fare una vita più sana e più felice, senza per questo privarsi di niente di importante. Pensiamo solo a tutte le cianfrusaglie (regali e regalini) che ingombrano le nostre case, a tutti gli indumenti che fanno scoppiare i nostri armadi, a tutte le bevande e ai cibi inventati per saziare gli occhi e il palato, ma che gonfiano lo stomaco e la linea. Ovunque si posino gli occhi scopriamo che esistono prodotti che, se non ci fossero, tutti staremmo meglio. Consumare, spesso fa male all’uomo e alla natura: si dissipano materie prime ed energie fisiche per qualcosa che appesantisce l’esistenza. Pensiamo a chi mangia troppo e deve poi curare le malattie conseguenti andando in ospedale, nei centri di estetica e nelle palestre; inoltre, i cibi troppo energetici mandano in rigoglio il corpo che perde la capacità di riprodursi. Pensiamo all’inquinamento del suolo per cui bisogna comperare l’acqua in bottiglia, all’inquinamento dell’aria per cui a Tokio si va al bar per respirarsi una bomboletta di ossigeno. Ci si deve ritenere fortunati quando il consumismo produce semplice spreco di tempo senza nessun altro aggravio! Se non fossimo distratti, e collegassimo tutti gli effetti alle cause relative, scopriremmo che nessuna guerra è capace di fare tanti morti quanti il consumismo. E morti, oltre a quelli che vengono sepolti, sono anche quelli che conducono una vita priva di senso, che sono sempre stressati, arrabbiati, insoddisfatti, qualunque sia il traguardo politico, economico o sociale raggiunto. Perché, allora, si continua ad esaltare il consumismo, se fa così male? Significa che a qualcuno fa comodo così! Un tempo, quando il lavoro lo si faceva con le braccia e le masse erano povere, potevano godere solo i ricchi, ora, che la maggior parte del lavoro lo fanno le macchine, possono godere tutti. L’abbondanza dei beni è possibile grazie al progresso tecnico che ha piegato l’energia (del petrolio, del gas, del carbone, dell’uranio, dei torrenti, del vento) a muovere le macchine. Ben presto i ricchi capirono che il metodo odioso dello sfruttamento diretto (servitù, mezzadrie, affitti, regalìe, privilegi) sarebbe durato ancora poco e intravidero subito la possibilità di sostituirlo con uno sfruttamento indiretto, cioè a schiavo consenziente. Essi dissero e dicono: “Hanno, le masse, al pari nostro, un’attrazione magnetica verso i piaceri? Ebbene, lasciamo che si grattino tutti i pruriti che sentono, fino a farsi sangue; anzi glieli vendiamo noi gli oggetti del desiderio, e se non hanno i denari facciamo loro persino credito”. Convinto il povero a comperare, parte l’ingranaggio. Il povero deve pagare la merce acquistata, perciò sarà disposto a lavorare nelle fabbriche dei ricchi, per paghe misere, a produrre i beni da immettere sul mercato. I ricchi, a cui vanno i grossi guadagni, lavorando poco o niente, consumano i prodotti di alta classe, mentre i poveri, che lavorano per tutti, devono accontentarsi dei prodotti di massa. Strozzare troppo i propri polli non è consigliabile, perché questi, consumando poco, chiuderebbero il rubinetto dei soldi ai ricchi; pagarli troppo nemmeno, perché, arricchendo, diventerebbero concorrenti. Più i prodotti sono appariscenti più attirano i compratori, e quando ciò non basti a stimolare gli acquisti entra in azione la pubblicità a creare nuovi bisogni. Poco importa se il venduto è di bassa lega, contaminato, diseducante o pericoloso, basta che il produttore guadagni molto e il bene duri poco, e se il deterioramento delle merci non è sufficientemente rapido allora entra in azione la moda che, decretandole vecchie e superate, incita a sostituirle. Il segreto è convincere le masse a consumare, affinché cresca la domanda; il mercato allora produce di tutto e di più, aumenta l’occupazione, tutti guadagnano e tutti fanno gli americani. Consumismo perciò è sinonimo di benessere. Allora il progresso tecnico che lo ha reso possibile è buono? Certamente; un uomo sfamato e sollevato dal lavoro pesante può dedicarsi a fare l’uomo; perciò ben venga la crescita economica, i Pil (prodotti nazionali interni lordi) in aumento e il benessere generalizzato, purché ciò che cresce non sia tumore ma organismo. Prima di consumare, perciò, è necessario fermarsi e dare un giudizio di valore alle cose. Spesso si dice: “Mi piace, è bello, mi piace!” E ciò è sufficiente per passare all’azione; però pochi si chiedono se ciò che piace è anche buono. Non di rado ciò che piace fa male (magari a distanza di tempo), mentre, cose che non piacciono, fanno bene, ed è triste vedere la gente indaffarata a sminuirsi e ad abbrutirsi facendo ciò che le piace. I poveri di una volta erano più fortunati dei benestanti moderni, perché, mancando di mezzi, non potevano farsi male. Oggi, le masse, anziché approfittare del progresso per crescere e liberarsi dalle oppressioni, sono cadute schiave dei loro vizi e dicono ai furbi: “Sfruttateci pure, ma dateci i mezzi per saziare i nostri egoismi”. I ricchi, perciò, vivono sulle debolezze dei poveri, ma per fortuna, avendo più mezzi e più pruriti, si fanno più male delle masse, e fra qualche generazione molte delle loro famiglie si saranno estinte e cesseranno di sovrastare. Questa nostra civiltà, fondata sul modello americano, tutto progresso ed egoismo, chiama benessere ciò che invece la sgretola; essa cresce a dismisura, ma ciò che cresce è tumore. I potentati economici e politici gareggiano per riformare, razionalizzare, fare giustizia, dare prosperità alle nazioni, e ci mettono anche passione, perché ognuno crede sé stesso “organismo” e vede l’avversario come “tumore”; solo che ciascuno ha ragione per riguardo all’avversario e torto su sé stesso. Infatti, l’essere di destra, di sinistra, liberista o comunista è solo aver deciso con quale metastasi del male identificarsi e c’è poco da stare allegri se il tumore è radicato a sinistra, nel polmone, piuttosto che a destra, nel fegato: sempre di tumore si tratta. “Perché spendete denaro per ciò che non è pane e il vostro patrimonio per ciò che non sazia?” dice il profeta. (Is 55,2) Bisogna innanzi tutto capire che cosa è bene per l’uomo e orientare ad esso i vantaggi derivanti dal progresso, altrimenti una grande fortuna può originare disastri. L’uranio, in una centrale nucleare, produce energia elettrica; in una bomba atomica, semina la morte. È l’uomo che deve scegliere, è una questione di atteggiamenti individuali. Mica lo sa la cavalletta che il suo comportamento genera deserto, morte di mandrie ed esodi biblici di popolazioni, ma ciò è conseguenza diretta del suo atteggiamento divoratorio; mica lo sa l’ape che portando a casa nettare e polline darà da mangiare miele a molti uomini e la sua cera andrà a finire sugli altari, ma ciò è conseguenza diretta del suo lavorare alacremente per l’alveare. Anche l’uomo non vorrebbe questa società corrotta e mal funzionante, ma è la conseguenza delle sue micro-azioni egoistiche, del suo essere più cavalletta che ape. Cambi atteggiamento e si converta all’altruismo: il deserto fiorirà. Il programma ora è chiaro: spalancare bene gli occhi ed astenersi dall’acquistare beni spazzatura (che sono la maggior parte), così da far fallire chi li produce; non aspirare a sfruttare il lavoro degli altri pensando che quello diretto sia una condanna; no! Una buona dose di lavoro tutti i giorni è la condizione ideale per vivere bene, per non impigrire e per non cadere nel vizio. Si deve inoltre puntare a mettersi in proprio o a diventare azionisti della fabbrica in cui si lavora, così da non lasciarsi sfruttare e godere dell’utile del proprio lavoro. A questo scopo bisogna consumare di meno e investire i propri risparmi in crescita: istruirsi, diventare bravi, quasi insostituibili. E che fare di tutto il tempo libero e di tutte le ricchezze in esubero? Tieniti forte, perché adesso dico una bestemmia: mettili a disposizione del regno di Dio! Sì, hai capito bene. Se starai attento troverai mille modi per essere suo servitore e riceverai, da subito, una ricompensa che ti stupirà.