di Lorenzo Parolin[L1/85]
Il popolo ha sfiducia nella politica e dice che è una cosa sporca. Essa è l’arte di governare una comunità; ma nonostante le migliori intenzioni, finché la si fa attraverso i partiti, non c’è speranza che la politica divenga pulita. Fondare partiti significa dividersi in fazioni e competere gli uni contro gli altri. È quel “contro” la fonte dei problemi. Quando manca la fiducia reciproca ogni lavoro viene fatto in contraddittorio, perciò costa un patrimonio, perché forze contrarie si annullano senza dare utili, e forze terze vengono occupate in costosi apparati burocratici che inventano procedure ed eseguono controlli. Più profonde sono le divisioni e le differenze sociali più cresce la conflittualità e maggiore è l’energia spesa per prendere le decisioni e per controllarne l’attuazione. Tutti sono capaci di fare l’analisi giusta dei problemi della società e dire che ci sono troppi sprechi, troppa ingiustizia, corruzione, disparità, degrado morale e delinquenza, e che è necessario rinnovare, cambiare e rifondare, ma al momento di dare la medicina al “grande malato” i “medici” si comportano da stregoni. Si limitano a cambiare il look ai partiti, a proporsi con un’immagine moderna, a fare programmi che abbiano fascino sulla gente, ma al di là di un rimescolamento dei consensi elettorali non si va, e il male rimane. Nessuno di loro vuol accorgersi che l’unico modo per guarire la società è quello di sciogliere i partiti stessi; sono essi l’origine dei mali. Una volta entrati nell’arena dei partiti, quel che succede è tutto logico, ma la pecca sta prima, quando si adotta il metodo gladiatorio, ed è lì che bisogna intervenire per ottenere i cambiamenti. La politica è necessaria, ma per essere utile non deve essere fondata sulla contrapposizione, perché, più quest’ultima si perfeziona, più distoglie dalla produzione persone e risorse economiche per gestirla, portando la società al collasso. Il metodo per risolvere i problemi alla radice è semplice e difficile allo stesso tempo, perché ha a che fare con Dio. Basterebbe riconoscere che abbiamo un’anima legata al corpo e che, pur essendo invisibile, ha un ingombro tale da non poter essere trascinata come un peso morto, perciò, considerata a dovere è di sommo aiuto, trascurata, diventa un intralcio che fa fallire qualunque progetto, anche ben architettato. Benché il mondo moderno non lo voglia riconoscere, tutto ruota attorno all’equilibrio corpo-spirito. Rifiutare lo spirito è come voler dipingere rinunciando a tutti i blu e ai rossi della tavolozza: che monotonia! Se c’è armonia tra corpo e spirito è naturale amare il prossimo e non solo sé stessi, è normale aiutare i più deboli a crescere riducendo le differenze di qualsiasi tipo, è logico rifiutarsi di gladiare con i “negativi” anche se si è provocati fortemente, è ovvio limitare le proprie esigenze di espansione accordandosi pacificamente con tutti, ed è obbligatorio dedicare del tempo alla politica senza più demandarla ai partiti, che la fanno male e con costi insostenibili. Come si sarà capito, l’armonia tra corpo e spirito è fondata su delle regole che producono armonia anche nella società, perciò, solo recuperando l’equilibrio dei singoli si potrà migliorare il nostro mondo, che ha smarrito l’equilibrio. Agire sulle strutture è solo tempo perso: l’unico cambiamento possibile è quello che ciascuno può fare su sé stesso; tutto il resto è conseguenza. Chi organizza e maneggia gli uomini, senza avere il corpo in equilibrio con lo spirito, è un infelice che riproduce nel sociale il suo stato di squilibrio. La mancata unità tra anima e corpo concepisce la politica in termini di divisione e contrapposizione, invece, l’equilibrio la vede in modo unitario, senza controllori, snella ed efficiente. Si può fare a meno di ascoltare le esigenze dello spirito, ma la conseguenza è il nostro mondo che funziona come sappiamo e nel quale il livello della gioia è bassissimo, rispetto ai valori possibili. Si pensa che gli uomini di successo, i ricchi e i libertini siano al top della felicità e non si vuol credere che esista una via che conduce ad una gioia almeno dieci volte più grande di quella ritenuta “la massima”. La gente lotta per conquistare spazi esterni limitati e non si accorge che verso l’interno di ciascuno si apre un mondo molto più vasto e soddisfacente di quello visibile. È lo spazio dello spirito, cioè il regno di Dio che, come dice (Lc 17,21), è dentro di noi. Se uno non sa niente, si accontenta di quel che vede, ma se c’è uno spazio ampio, che si apre dietro una porta segreta, è da stupidi ignorarlo, come fa il nostro mondo. Perché azzuffarsi per spartirsi delle briciole, quando da un’altra parte è possibile avere un intero tesoro? Eppure, convincere la gente a cercare la gioia “grande”, è difficile, perché, chi la vuole, deve rinunciare a quella “piccola”, a cui è affezionato. L’uomo vorrebbe entrambe le gioie, ma non è possibile servire due padroni in contemporanea; bisogna scegliere: o coltivare le ricchezze e il potere, cioè servire “Mammona” (Mt 6,24) oppure sviluppare la vita interiore, cioè servire Dio. Quest’ultima è un’impresa difficile, ma non impossibile, perché, appena trovato il coraggio di fare i primi passi, praticamente alla cieca, ti senti invadere dalla gioia e capisci che sei sulla strada giusta. Chi invece serve Mammona ottiene la sua crescita a scapito della gioia. Gioia è sentire la mente libera, il corpo leggero, il cuore che sprizza qualcosa di inspiegabile; è voglia di cantare, di correre, di aiutare, e non per qualche ora o qualche giorno, ma sempre. Se confronti queste sensazioni con quelle che provi nel goderti i piaceri della vita, capisci che non ci sono paragoni. Allora ti rendi conto che lavorare per te è insufficiente e limitante, invece, lavorando anche per gli altri, la gratificazione che ne ricavi è molto più grande della fatica che fai. Una buona guida spirituale è quasi indispensabile per capire come muoversi in questo strano mondo, solo che è difficile da trovare. Non è necessario essere in tanti a pensarla allo stesso modo per trovare la felicità: si può essere anche da soli; magari ci costa qualcosa di più ottenerla se quelli che ci attorniano ci sono ostili, ma nessuno può succhiare la nostra felicità dalla mammella personalizzata che Dio ha assegnato a ciascuno. Appena l’uomo si attacca a Dio e si mette al suo servizio, subito si sente realizzato e trova pace, invece, da ogni altro seno stillano liquidi amari e poco nutrienti. Ciò significa che qualunque altra azione produce agitazione e insoddisfazione. Nonostante io sia attorniato dal degrado, dalle inefficienze e dalla cattiveria, non riesco a imprecare, ad arrabbiarmi, a vendicarmi o ad essere triste, quale che sia il tipo di affronto subìto e, continuando ad agire “positivamente”, vedo che la qualità della mia vita è migliorata di molto.
Un tempo, qualunque cosa facessi, ero sempre insoddisfatto, mentre, da quando ho aperto gli occhi verso l’interno ed ho seguito le nuove istruzioni, a fronte di rinunce modeste e di un po’ di lavoro fatto in pura perdita per il prossimo, ho trovato una grande felicità.